LEGA ARABA ANTICRISTO

quindi adesso l’ANTICRISTO ISTITUIRANNO UN OSSERVATORIO SUL MARTIRIO DEI CRISTIANI IN TUTTA LA LEGA ARABA SHARIA! ] [ Le Nazioni Unite istituiscono l’Osservatorio LGBT. ONU_risoluzione_LGBT Pubblicato il: 2 luglio 2016. Con 23 voti favorevoli, 18 contrari e 6 astenuti, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha deciso di creare un “osservatorio per i diritti civili delle persone Lgbt“. L’ONU dunque, da sempre baluardo della difesa e della promulgazione di nefandezze varie, si lancia in uno storico e ulteriore passo per incentivare il progresso della mentalità omosessuale e del conseguente gender diktat. Se infatti nelle due precedenti risoluzioni il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite si era limitato a preparare relazioni che esaminassero gradatamente i diritti Lgbt, questa volta – probabilmente sulla scia della strage avvenuta ad Orlando – sarà nominato un incaricato a svolgere la mansione di osservatore, avente il compito di monitorare la violenza e la discriminazione basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. L’esperto “osservatore indipendente” designato condurrà infatti visite d’ispezione periodiche negli Stati, interloquendo con chi opera in modo pratico sul campo, coinvolgendo istituzioni e governi, per poi riferire il tutto all’Assemblea generale che provvederà a trovare valide e immediate risoluzioni nel caso in cui occorresse. Il mondo gay intanto definisce questa conquista come “un primo passo verso la messa al bando dell’omofobia”. L’ingranaggio ONU, sempre propenso a trovare soluzioni a tutela di minoranze al mondo invertito molto care, si rivela nuovamente un organismo di parte e messo lì per incentivare i poteri forti, che in fondo vogliono e pretendono la demolizione graduale della famiglia come formata da uomo e donna, preponendo ai fini dell’unione fra essi, nel vincolo matrimoniale, una pratica, concreta e ideologica sterilizzazione della società tutta.

Il transgenderismo è un disturbo mentale: parola di psichiatra .. Il dott. Paul R. McHugh è uno dei più autorevoli psichiatri a livello mondiale, con quasi mezzo secolo di pratica professionale. Già Primario di psichiatria nel celebre Johns Hopkins Hospital, di Baltimora, oggi è Distinguished Service Professor of Psychiatry. Autore di sei libri, ha pubblicato più di 130 saggi in riviste specializzate. Qualche settimana fa, il dott. McHugh ha sollevato un piccolo tsunami nel mondo accademico affermando che il transgenderismo è un “disturbo mentale” che va trattato, e che il cambio di sesso è “biologicamente impossibile”. La chirurgia per cambiare sesso, secondo lui, non è la soluzione per persone che soffrono di “disordine di assunzione”, vale a dire la percezione che la propria mascolinità o femminilità sia diversa da quella che la natura le ha assegnato biologicamente. Secondo McHugh, le persone che promuovono un tale intervento chirurgico stanno favorendo la diffusione di un disturbo mentale. Nell’articolo, pubblicato sul Wall Street Journal, lo psichiatra statunitense riporta vari studi che mostrano come il tasso di suicidi tra le persone transgender sia venti volte superiore a quello tra persone non transgender. Egli cita inoltre studi della Vanderbilt University e della Portman Clinic di Londra che mostrano come, nel 70% dei casi, i sentimenti transgender spariscono spontaneamente col passare del tempo. L’ex Primario di psichiatria critica l’amministrazione Obama, Hollywood e i grandi mezzi di co­municazione, come la rivista Time: “Promovendo il transgenderismo come normale, questi signori non fanno affatto un favore né al pubblico né ai transgender, nel trattare le loro confusioni mentali come un diritto che va difeso piuttosto che come un disturbo mentale che merita comprensione, trattamento e prevenzione “. “Il sentimento di essere transgender costituisce un disturbo mentale in due aspetti – scrive McHugh – il primo è che il cambio di sesso è semplicemente sbagliato, non corrisponde alla realtà fisica. Il secondo è che può portare a conseguenze psicologiche atroci “.
Il disturbo della persona transgender, continua McHugh, sta nel fatto che la percezione psicologica che essa ha della propria sessualità non corrisponde alla realtà fisica del suo corpo, cioè alla propria mascolinità o femminilità, come assegnata dalla natura. In linguaggio scientifico si chiama gender dysphoria. Si tratta di un disturbo simile all’anoressia, nella quale, guardandosi allo specchio, una persona pericolosamente magra si vede comunque sempre “sovrappeso”, oppure alla dysmorfia, nella quale una persona percepisce se stessa come fisicamente diversa da ciò che in realtà è.
La percezione delle persone transgender, secondo cui la loro sessualità risiede nella mente, a prescindere dalla realtà anatomica, ha portato al riconoscimento sociale di queste persone basato sull’affermazione di “verità soggettive” che nulla hanno a che fare con la realtà. Non sorprende, dunque, che nell’approvare leggi che permettono il cambio di sesso in minorenni, alcuni Stati abbiano proibito agli psichiatri, anche con l’autorizzazione dei genitori, di trattarli per permetterli di ripristinare la sensibilità sessuale naturale. I promotori degli interventi precoci di cambio di sesso semplicemente non vogliono prendere atto degli innumerevoli studi che mostrano come tra il 70% e l’80% dei giovani che esprimono sentimenti transgender spontaneamente perdono tali sentimenti nel corso del tempo. Inoltre, anche se molti tra quelli che si sommettono a un intervento chirurgico per cambiare sesso si dichiarano “soddisfatti” con l’ope­razione, la realtà è che, successivamente, il loro adeguamento psicologico e sociale si dimostra pieno di problemi. “Perciò, allo Johns Hopkins abbiamo smesso di fare interventi di cambio di sesso. Ci sembrava che rendere persone apparentemente ‘soddisfatte ‘ ma in realtà piene di problemi psicologici e sociali non era una ragione sufficiente per amputare chi­rurgicamente organi perfettamente funzionanti“, scrive il dott. McHugh. L’ex Primario di psichiatria mette in guardia contro le lobby LGBT che promuovono un tipo di educazione sessuale che presenta il cambio di sesso come “normale”. Se la prende pure con i “consiglieri” nelle scuole che suggeriscono ai giovani di prendere le distanze dalle loro famiglie, evitando quindi di sentire altre campane. Infine, critica quei “medici fuorviati” che, al primo accenno di una tendenza sessuale non corretta, somministrano droghe per ritardare la pubertà, per rendere i successivi interventi di cambio di sesso meno onerosi, esponendo i ragazzi a ogni sorta di pericoli, sia fisici sia psicologici. Tale atteggiamento, secondo McHugh, è al limite dell’abuso di minorenni. McHugh ritiene un suo preciso dovere come medico e come psichiatra, avvertire il pubblico che l’ideologia gender costituisce un pericolo per la salute mentale della società: “Dobbiamo puntare il dito e dire che il re è nudo!“ “Il cambio di sesso è biologicamente impossibile – conclude McHugh – le persone che si sottopongono a un tale intervento non si trasformano da uomo a donna, o viceversa. Piuttosto, diventano uomini effeminati e donne mascolinizzate. Affermare che tale in­tervento è un ‘diritto ‘equivale a promuovere, a livello sociale, un grave disturbo mentale “.

Le scuole del Regno Unito promuovono la divisa “gender neutral”: 2 luglio 2016 La soppressione delle uniformi maschili e femminili all’interno degli storici college britannici esprime emblematicamente la follia e l’irrazionalità della sempre più aggressiva ideologia gender. Il “gender diktat” avanza nelle scuole del Regno Unito attraverso l’introduzione della divisa “neutral”. Secondo le direttive recentemente approvate i ragazzi delle scuole britanniche potranno infatti indossare uniformi di “genere neutro”, potendo optrare tra gonna o pantaloni indipendentemente dal proprio sesso biologico.
Come scrive il quotidiano inglese “The Indipendent” sono già: “ottanta le istituzioni statali, tra cui 40 scuole primarie, che hanno rimosso qualsiasi riferimento al sesso maschile o femminile nei loro codici di abbigliamento o hanno riscritto da capo la propria politica in fatto di divisa scolastica”. La rimozione della distinzione tra maschi e femmine nelle uniformi scolastiche rientra in un ampio piano, finanziato dal governo, volto a introdurre all’interno delle scuole una nuova visione “politically correct” improntata all’indifferentismo sessuale e alla cosiddetta “gender fluidity”.
Il portavoce dell’organizzazione LGBT “Stonewall” ha accolto con ovvio entusiasmo l’iniziativa esprimendo  al quotidiano la propria soddisfazione per la nuova policy scolastica: “Diamo il benvenuto a tutti gli sforzi per sostenere i giovani riguardo le questioni di identità trans e di genere e garantire che si sentano felici, benvenuti e accettati a scuola, ed è incoraggiante vedere questo cambiamento. (…) Nessuna persona trans dovrebbe essere costretto a presentarsi in un modo che lo fa sentire a disagio. Quando questo accade, può essere profondamente dannoso, soprattutto per i giovani”.
web-brighton-college-pa Tra i primi college ad introdurre le divise “neutre” vi è stato il Brighton College, scuola privata con 170 anni di storia, tra le prime 10 scuole in Inghilterra per risultati accademici, che già dallo scorso gennaio ha rimosso le proprie antichissime regole riguardanti l’abbigliamento scolastico al fine di far sentire a proprio agio alcuni alunni in conflitto con la propria identità sessuale.
Una clamorosa rottura con la secolare tradizione dell’istituto che il direttore della scuola, Richard Cairns, aveva liquidato al quotidiano “The Independent” con queste parole: “Questo cambiamento segue le richieste di un piccolo numero di famiglie. Ciò concorda con la mia convinzione personale che i giovani dovrebbero essere rispettati per quello che sono. (…) Se alcuni ragazzi e ragazze sono più felici identificandosi con un genere diverso da quello in cui sono nati, il mio compito è quello di fare in modo che noi accogliamo e facilitiamo tutto questo. Il mio unico interesse in quanto preside è il loro benessere e la felicità”. Tra le prima scuole ad introdurre la divisa di “genere neutro” vi  è la scuola Allens Croft di Birmingham che ha presentato tale novità come “una migliore prassi scolastica” promossa dalla charity LGBT “Educate and Celebrate” grazie ad un finanziamento di ben £ 200.000 da parte del Dipartimento per l’Istruzione, finalizzato a promuovere la formazione all’uguaglianza e alla diversità del personale scolastico di tutto il Regno Unito. PIANO IDEOLOGICO
Un vero e proprio piano di indottrinamento ideologico del corpo docente alla promozione dell’omosessualità e di ogni devianza sessuale tra i giovanissimi studenti che Julia Neal, presidente della Association of Teachers and Lecturers (ATL), commissione per l’insegnamento all’uguaglianza e alla diversità, ha giustificato così: “Se c’è fluidità di genere hanno bisogno di capire l’importanza delle strutture di genere neutro. E hanno bisogno di capire come gli studenti vogliono essere denominati, come lui o lei. Si tratta di un tema delicato”. La soppressione delle uniformi maschili e femminili all’interno degli storici college britannici esprime emblematicamente la follia e l’irrazionalità della sempre più aggressiva ideologia gender. Gli istituti scolastici, preposti all’educazione delle giovanissimi generazioni, subiscono passivamente le sconsiderate mode e tendenze del momento, favorendo e legittimando con i loro assurdi provvedimenti il, ogni più prepotente, piano di “normalizzazione” della “fluidità sessuale”.

Il festival Solidays e la “Messa LGBT” delle “Sorelle della Perpetua Indulgenza”. Rodolfo de Mattei. Pubblicato il: 1 luglio 2016 Da venerdì 23 a domenica 25 giugno si è svolto a Parigi, presso l’ippodromo Longchamp del Bois de Boulogne, “Solidays”, un festival di sensibilizzazione alla lotta contro l’AIDS e di “normalizzazione” di ogni tipo di sessualità, purché protetta. L’evento, giunto quest’anno alla sua diciottesima edizione, ha visto, come ogni anno, un susseguirsi di concerti, dibattiti, esposizioni e spettacoli di vario genere, dal primo pomeriggio fino a tarda notte, tutti caratterizzati dal tema comune della sessualità. Il festival, organizzato da “Solidarité SIDA”, associazione fondata da Luc Barruet nel 1992, in prima linea nell’attività di prevenzione contro la trasmissione del virus HIV e patrocinato da istituzioni locali, ONG e partner economico-sociali, secondo le parole del suo Presidente onorario Antoine de Caunes, si richiama alla “Summer of Love di San Francisco”: “Fa riferimento alla Summer of Love di San Francisco (celebre raduno hippie del 1967). Tra ieri e oggi c’è un comune sentire in favore della comprensione, della condivisione, la pace, l’indulgenza e la solidarietà”. Come abbiamo detto, il tema centrale del festival Solidays, accanto alla lotta all’AIDS, è stato la promozione del sesso libero e responsabile, visto paradossalmente come strumento di contrasto alla diffusione dell’HIV. MESSA LGBT. Nel corso dell’edizione 2016, oltre alle solite testimonianze a favore del sesso “sicuro”, emerse nell’ambito dei diversi dibattiti, ha avuto luogo anche un’oscena e blasfema “Messa LGBT” celebrata dal gruppo delle “Sorelle della Perpetua Indulgenza” che hanno monopolizzato la scena intonando canti di lotta all’omofobia, in favore dell’educazione sessuale e contro la legge francese, recentemente approvata, che penalizza i clienti delle prostitute. Le Sorelle della Perpetua Indulgenza
Le “Sorelle della Perpetua Indulgenza”, originariamente un piccolo gruppo di uomini gay sorto a San Francisco nel 1979, sono un potente ente di beneficenza, di protesta, e di spettacolo di strada che utilizza l’immagine delle drag queen e delle icone cattoliche per provocare e catturare l’attenzione verso la presunta intolleranza sessuale, facendo satira sulle discriminazione e sulla morale. Con il tempo, l’organizzazione è cresciuta e dagli Stati Uniti si è diffusa capillarmente in tutto il mondo attraverso un’ampia rete internazionale di organizzazioni no-profit volte a raccogliere fondi per promuovere la causa LGBT e la lotta all’AIDS. L’OSCENA MOSTRA “Happy Sex”. Il Festival ha trattato il tema della sessualità anche dal punto di vista dell’ “arte”, attraverso gli osceni e inguardabili disegni del disEgnatore Zep, esposti all’interno di una mostra, vietata ai minori di 18 anni, dal titolo “Happy Sex”, rappresentante il sesso, attraverso 30 tavole, in ogni suo più squallido e perverso aspetto.
Una falsa e fallimentare strategia di prevenzione. La lotta alla piaga dell’AIDS e la promozione dell’omosessualità e di ogni tendenza sessuale vanno dunque paradossalmente a braccetto in nome di una falsa e fallimentare strategia di prevenzione finalizzata a diffondere tra i giovani una sessualità senza limiti, purché “protetta” e “sicura”. Un piano folle e mortale che si propone di educare le nuove generazioni ad una sessualità libera da qualsivoglia “norma” sociale o naturale, destinato ad avere conseguenze devastanti

Via libera della Corte di Cassazione all’adozione omosessuale. Il 22 giugno scorso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12962 ha permesso ad una donna omosessuale di adottare la figlia della convivente, figlia avuta tramite fecondazione eterologa. Via libera quindi alla stepchild adoption per coppie omosessuali. Già in altre occasioni i tribunali avevano aperto la porta alle adozioni alle coppie formate da persone dello stesso sesso, ma questa è la prima volta in cui si pronuncia favorevolmente la Corte di Cassazione. Gli ermellini – così come era successo in altri casi in precedenza – hanno applicato, consapevolmente in modo erroneo, l’art. 44, comma 1 lettera d) della legge 184 del 1983 sulle adozioni, la quale lettera prevede la possibilità di adottare da parte di coppie anche non coniugate «quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo» del minore. L’errore sta nel fatto che per applicare la lettera d) occorre che il minore versi in stato di abbandono e che si tenti senza successo la strada dell’affidamento pre-adottivo. Queste due condizioni mancano nel caso di specie – come in casi analoghi occorsi nel passato – perché la bimba, che oggi ha ormai sei anni, non versava in stato di abbandono (era infatti accudita dalle due donne), né conseguentemente si era tentata la via dell’affidamento pre-adottivo, proprio perché la minore non era in stato di abbandono. All’opposto i giudici precisano che l’adozione «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore». Ma l’interesse del minore può essere soddisfatto inserendo o lasciando il bambino all’interno di una coppia omosessuale? L’omosessualità della coppia non può essere una condizione ostativa al reale benessere del minore? La risposta è negativa secondo la Cassazione: «l’esame dei requisiti e delle condizioni non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questa stabilita con il proprio partner». La sentenza della Cassazione – fotocopia di altre precedenti di tribunali locali – ormai mette in evidenza alcune costanti che hanno legittimato la stepchild adoptionnel nostro Paese. In primis il giudice non è più chiamato, come Costituzione comanda, ad applicare la legge, ma a creare la legge. Trattasi della famigerata giurisprudenza creativa. In questo caso l’aspetto creativo sta nella violazione della legge: quest’ultima nega la possibilità della stepchild a coppie omosessuali e il giudice invece accorda questa facoltà. In seconda battuta il tramonto dell’istituto giuridico del matrimonio è favorito anche per via giurisprudenziale. Infatti l’adozione, secondo la ratio della legge n. 184, si deve ispirare al criterio dell’imitatio naturae. Ciò vuol dire tentare di inserire il bambino in una famiglia. E per famiglia la Costituzione intende una coppia di sesso differente coniugata (art. 29 Cost.). Di contro le pronunce che hanno legittimato lastepchild adoption a favore di coppie gay da una parte contra legem equiparano la convivenza omosessuale al matrimonio e dall’altra privilegiano non l’istituto giuridico del matrimonio, bensì una situazione di fatto: il minore da tempo vive all’interno di una relazione di convivenza e dunque è giusto concedere l’adozione al partner che da anni si prende cura dell’adottato. In terzo luogo si usa strumentalmente il principio del supremo interesse del bambino, che non è più inteso come fine – dare una famiglia ad un minore che ne è privo – bensì come mezzo ideologico – dare un bambino ad una coppia gay che ne è priva. C’è quindi un evidente torsione del diritto per scopi metagiuridici. Inoltre la natura ideologica di queste sentenze è avvalorata ancor di più dal fatto che esistono moltissimi studi che comprovano che un minore che cresce in una relazione omosessuale soffre di differenti disturbi psicologici e comportamentali. L’interesse del bambino, così sbandierato dai tribunali, dovrebbe configurare proprio il motivo principe per negare alle coppie gay la stepchild adoption. Infine l’indipendenza dei giudici dal potere politico è più asserita che realmente dimostrata laddove la materia del contendere sono i principi non negoziabili. Dalla legge sulle Unioni civili si è stralciata la stepchild adoption. Ciò a significare che tale forma di adozione non è consentita alle coppie omosessuali: altrimenti il legislatore l’avrebbe esplicitamente indicata. Nonostante ciò la Cassazione ha deciso in senso contrario, proprio perché l’orientamento sposato – almeno in questo caso – è identico a quello dell’on. Cirinnà, prima firmataria del progetto originario sulle Unioni civili. Inoltre era facilmente intuibile che ciò che era stato buttato fuori dalla porta del Parlamento sarebbe rientrato dalla finestra dei tribunali. Inserire, come si è fatto, nel testo di legge sulle Unioni civili il rinvio alla disciplina ordinaria in materia di adozioni ha significato dire ai giudici: fate come sempre avete fatto in tema di richieste distepchild adoption da parte di coppie omosessuali. Cioè accordatele. (Tommaso Scandroglio)

MY Israel ] se questo abominio GENDER ideologia Sodoma lo dicono gli altri? non succedete niente! PERCHÉ , poi, SE LO DICO IO SI DIFFONDE IL PANICO?

Canada e bestialità: gli atti sessuali tra uomini e animali sono leciti purché… Dopo il già sconvolgente caso della comunità degli uomini-cane in Gran Bretagna, questa sentenza della Corte Suprema del Canada che, di fatto, legittima gli atti sessuali tra uomini e animali, rappresenta emblematicamente la deriva “animalesca” della nostra società. Il Canada ha stabilito che gli atti sessuali tra uomini e animali sono leciti purché non vi sia “penetrazione” tra i soggetti coinvolti. A dichiararlo è stata una recente sentenza dalla Corte Suprema che si è occupata di un caso di un uomo della British Columbia, condannato per aver aggredito sessualmente le proprie figliastre e imputato di 13 diversi capi d’accusa tra cui quello di “bestialità”.
UNA BIZZARRA DEFINIZIONE DI “BESTIALITA’” La Corte Suprema canadese ha sorprendentemente assolto l’uomo, identificato come “DLW” per proteggerne l’identità, dall’accusa di “bestialità” in quanto secondo la maggioranza dei giudici con la definizione di “bestialità” si deve intendere un “rapporto sessuale completo” tra uomo e animale che presuppone la penetrazione.
LA LINEA DIFENSIVA Gli avvocati di DLW hanno difeso il proprio assistito, sostenendo che il reato di bestialità, legato alla sodomia con gli animali, seppur introdotto con il codice penale del 1892, non è mai stato definito chiaramente in maniera da comprendere qualsiasi tipo di atto sessuale tra uomini e animali. Secondo tale linea difensiva dunque, non rientrerebbero in tale reato le terribili e ripugnanti accuse mosse nei confronti del loro imputato in quanto “limitate” ad altri atti sessuali. Gli atti giudiziari rivelano inoltre che DLW tentò successivamente di far avere al cane un rapporto con le proprie figliastre, non riuscendo fortunatamente nel suo perverso intento.
Per l’aggressione sessuale nei confronti delle sue figliastre e i 13 capi d’accusa, DLW sta ora scontando una pena detentiva di 16 anni e, al fine di vedere ridotta la propria detenzione, ha chiesto il condono dell’accusa di “bestialità” portandola davanti alla Corte di Appello.
LA SENTENZA Ebbene, di fronte a tutto ciò, la Corte Suprema del Canada ha inspiegabilmente accolto il ricorso di DLW, stabilendo con una maggioranza schiacciante di 7 a 1 che affinché sussista il reato di “bestialità” è necessaria la penetrazione tra i soggetti coinvolti in quanto è questa “l’essenza, l’atto che definisce il reato”. rosalie-silberman-abella. Rosalie Abella, l’unico giudice contrario alla folle sentenza
Inutile la presa di posizione di Rosalie Abella, l’unico giudice dissidente, che ha cercato in tutti i modi di convincere la Corte a negare il ricorso, ricordando come: “Gli atti con gli animali che hanno uno scopo sessuale sono intrinsecamente uno sfruttamento al di là che si verifichi o no la penetrazione”. GENDER E ANIMALISMO: UN’ALLEANZA DI FERRO Dopo il già sconvolgente caso della comunità degli uomini-cane in Gran Bretagna, questa sentenza della Corte Suprema del Canada che, di fatto, legittima gli atti sessuali tra uomini e animali, rappresenta emblematicamente la deriva “animalesca” della nostra società. Una folle e suicida corsa contro mano che, negando l’esistenza di una natura umana, passa in maniera logica e coerente dalla transizione di genere alla transizione di specie, per arrivare infine all’aberrante giustificazione del sesso intra specie. “Gender” e “animalismo”, accomunati dal rifiuto di ogni norma sociale e dalla celebrazione di ogni forma di “devianza”, stringono così un’alleanza ideologica di ferro per promuovere nella società il loro distruttivo piano rivoluzionario che vuole portare l’uomo al livello della bestia.

quando si dice: “la sinagoga di Satana” e questo è proprio il regno di Fariseo satana il massone! ] Dai “transgender” ai “transspecies”: la comunità degli uomini-cane. Mercoledì 25 maggio è andato in onda su Channel 4, canale televisivo del Regno Unito, un documentario intitolato “Secret Life of the Human Pups” i cui protagonisti sono i membri di una comunità molto particolare sorta negli ultimi anni in un certo ambiente della sottocultura britannica. “La Vita segreta dei cuccioli umani”, come riporta il quotidiano The Guardian, ha raccontato infatti la storia della comunità degli “uomini-cane”, un movimento, che oggi conta ben 10mila persone, sorto inizialmente all’interno dell’ambiente del sadomasochismo omosessuale e diffusosi rapidamente negli ultimi quindici anni attraverso la facilità di comunicazione resa possibile dall’avvento di internet. I membri di questa, a dir poco bizzarra e folle, comunità tendono ad essere di sesso maschile e omosessuali, amano vestirsi con costumi integrali di pelle che li facciano prendere le sembianze di cani, godono nell’assumere comportamenti e atteggiamenti “animaleschi”, come farsi accarezzare a pancia in su, afferrare i giocattoli con la bocca, mangiare a quatto zampe nelle scodelle e hanno spesso una relazione sessuale con i loro “padroni” umani.
Nel documentario si vede Tom, aka “Spot”, uno degli uomini-cane intervistati, affermare che per lui scegliere di trasformarsi in un animale significa semplicemente tornare a uno stadio primordiale e più libero: “Non devi preoccuparti dei soldi, del cibo o del lavoro. Ti godi semplicemente la compagnia di una persona“, ovvero la compagnia del proprio padrone. In un’altra scena del filmato si vedono due cuccioli (umani) attraversare Londra fingendo di fare pipì su pali della luce per aumentare la consapevolezza della propria identità ed altri uomini-cane “zompettare”, abbaiando e scodinzolando le loro code meccaniche. Più avanti l’uomo-cane Tom precisa come la scoperta di questo “gioco da cucciolo” sia avvenuta in maniera graduale. Sapeva che gli piaceva dormire con un collare al collo e provava un sentimento feticista per l’abbigliamento aderente in gomma di Lycra, ma è stato l’acquisto su E-bay di un costume da cane dalmata ad aprirgli le porte di questo nuovo inesplorato mondo. L’episodio chiave è avvenuto in un locale sadomaso – racconta Tom –  quando vestito con il suo costume da dalmata venne avvicinato da un uomo che gli sussurrò: “Oh, bene, quindi tu sei un cucciolo”. Una dichiarazione che si è rivelata per lui “illuminante” e che lo ha portato in breve tempo a rompere i rapporti con la sua ex fidanzata Rachele e ad instaurare una relazione gay con Colin, il suo nuovo padrone. Questa “è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso” – spiega Tom – “poi ho avuto un momento di panico, perché un cucciolo senza un collare è un randagio; non ha nessuno che si prenda cura di lui. Così ho iniziato a chiacchierare on-line con Colin che si è offerto di prendersi cura di me. E’ una cosa triste da dire, ma non c’è amore dentro di me per Colin, ma quello che ho ottenuto è qualcuno che è lì per me e sono felice di questo“. Per David, uno scrittore che lavora nel mondo accademico, il “gioco da cucciolo” è una fuga dal mondo reale, rappresentando per lui una sorta di “seconda vita”, lontano dalla monotonia e dalla normalità di tutti i giorni: “E’ così totalmente non verbale (…) E’ pre-razionale, pre-cosciente. Si tratta di uno spazio emotivo istintivo. Ma all’interno di ogni cucciolo c’è una persona. Questo fa parte della mia identità, ma è solo una parte. Ma poi c’è altro nella mia vita: sono anche vegetariano, suono il pianoforte, coltivo pomodori… Posso stare anche mesi senza giocare a fare il cane”. maxresdefault
David spiega come l’attrazione e i rapporti tra gli uomini-cane ed i loro padroni rispecchino esattamente quelle che esistono nella realtà tra i cani e i loro padroni. Uomini-cane e padroni sono tra loro dei “fedeli compagni” e ogni uomo-cane è geloso e protettivo nei confronti del suo amato padrone:
“Alcuni cuccioli sono soli, ovviamente, ma per me l’identità cucciolo si concentra sul legame tra me e Sidney, il mio padrone. Sono stato al suo collare per 10 anni. Se qualcuno gli si avvicina ringhio come un piccolo bull terrier”.
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Nonostante la pratica degli uomini-cane sia solitamente connotata sessualmente e relativa agli ambienti gay, una delle persone intervistate cerca di prendere le distanze da tale rappresentazione, sottolineando come al suo “branco”, composto da ben nove cani, piaccia semplicemente giocare e stare insieme al proprio padrone: “La gente arriva automaticamente alla conclusione che si tratti di costumi che indossiamo per avere rapporti sessuali. Mi sono state rivolte domande terrificanti, come se mi piacesse fare sesso con i cani. Ma naturalmente non ha niente a vedere con tutto questo, e non è sempre qualcosa di sessuale. I membri del mio branco passano un sacco di tempo insieme a casa, semplicemente facendo i cani. Siamo nove, e il mio compagno è il nostro padrone. C’è un grande senso di famiglia e di appartenenza; siamo lì per prenderci cura l’uno dell’altro“.
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In conclusione, Tom invita gli spettatori ad accettare e comprendere la loro identità come è stato già fatto con tanti altri modelli fuori dalla “norma” a cominciare dalla comunità LGBT:
“Ci si sente come può sentirsi un gay, un etero, un bisex, un trans ed essere accettati. (…) Tutto quello che voglio è che la comunità dei cuccioli sia accettata nella stessa maniera. Non stiamo cercando di causare dolore al pubblico, o di causare dolore ai rapporti. Siamo proprio come qualsiasi altra persona sulla strada”. Il movimento degli “uomini-cane” rappresenta l’approdo logico e coerente del processo di abbattimento di ogni tipo di barriera in nome dell’illimitata libertà dell’individuo. Esso costituisce solamente, per cosi dire, un azzardato ed inedito “salto di specie”. Se infatti la comunità LGBTQ teorizza e rivendica la transizione di genere attraverso il passaggio dal genere maschile al genere femminile, negando l’esistenza di una natura umana, la comunità degli uomini-cane teorizza e rivendica la transizione di specie, con il passaggio dall’uomo all’animale, negando, in una visione antispecista, l’esistenza di una specie umana distinta da quella animale. Entrambe le comunità fondano il loro pensiero sulla negazione dell’esistenza di una specifica natura umana e sulla promozione di un nuovo rivoluzionario paradigma antropologico contro l’uomo stesso. Entrambe, in una visione evoluzionista, antigerarchica e ugualitaria, celebrano la devianza in ogni sua forma e proclamano la “liberazione dell’uomo”, intesa come l’abolizione di ogni norma e limite sociale, dissolvendo la sessualità e la specie per tornare utopisticamente allo stato di caos originario. La prossima frontiera dei diritti umani sarà la “normalizzazione” sociale degli uomini-cane ?

Il MIUR promuove l’ideologia del gender nella scuola italiana. [ allora, noi non ne abbiamo bisogno, nessuno in Italia si sogna a scuola, di fare distinzioni e discriminazioni di tipo sessuale ] ECCO PERCHÉ LA IDEOLOGIA DEL GENDER È UNA PROVOCAZIONE, CHE SORTIRÀ L’EFFETTO CONTRARIO! PERCHÉ I RAGAZZI SONO TOLLERANTI, MA, SI POSSONO INDISPETTIRE! L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell’indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità, identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico. In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ricorrenza promossa dall’Unione europea che si celebra dal 2004 il 17 maggio di ogni anno, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha inviato, con preghiera di massima diffusione, una circolare a tutte le sovraintendenze, ai dirigenti scolastici, alle associazioni dei genitori e studenti e alle consulte studentesche, invitando gli istituti di ogni ordine e grado a svolgere attività per contrastare fenomeni di violenza e “discriminazione omofobica“, con il fine di “rendere l’ambiente scolastico inclusivo di ogni differenza“.
“ Solo con l’educazione – si legge nel testo recante come oggetto, 17 maggio – Giornata internazionale contro l’omofobia, –  si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società; in tal senso, la scuola deve fornire strumenti, metodologie e deve attivare tutte le necessarie pratiche per interventi di prevenzione”. La circolare rende noto come il Ministero responsabile dell’istruzione sia intenzionato a garantire il proprio totale supporto ad ogni tipo di iniziativa scolastica volta a favorire il pieno sviluppo dell‘identità di genere degli studenti. Il MIUR – si legge sempre nel testo diffuso il 17 maggio – intende infatti “supportare le istituzioni scolastiche fornendo agli insegnanti strumenti per il proprio aggiornamento e la conoscenza del contesto giovanile, ma anche agli studenti e alle famiglie spazi per potersi confrontare sulle delicate questioni legate all’identità di genere o a qualsiasi altra forma di violenza“. Il documento presenta inoltre un nuovo servizio di supporto per comunicare fenomeni di bullismo in ambiente scolastico per il quale tutta la comunità scolastica “potrà avvalersi di un servizio di messaggistica al numero 345/3916485, attraverso cui segnalare casi e verificare (…) tutte le possibili forme di intervento, prevedendo un raccordo costante con l’amministrazione centrale e territoriale per verificare la possibilità di effettuare interventi direttamente in collaborazione con gli istituti scolastici stessi, anche in accordo con altri Enti e Associazioni maggiormente impegnate nella lotta alle discriminazioni“. Ezio De Gesu, responsabile scuola di Arcigay, ha applaudito l’iniziativa del MIUR, commentando con le seguenti parole: «Ringraziamo il Miur e la direttrice generale Giovanna Boda, che coordina il servizio per lo studente, l’integrazione e la partecipazione, per aver ricordato che la giornata del 17 maggio rappresenta l’opportunità per tutte le scuole italiane di sensibilizzare studenti, genitori ed insegnanti al contrasto del bullismo omofobico e transfobico».
Sulla stessa linea, Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay, che ha sottolineato la propria soddisfazione per la particolare attenzione riservata dalle Istituzioni alle istanze LGBT, dichiarando: «Il segnale lanciato dal Miur è un’importante conferma di attenzione sul tema. Un segnale che si somma ad altri segnali istituzionali importanti, contenuti tanto nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quanto in quelle della Presidente della Camera, Laura Boldrini. C’è da augurarsi che la comunione di intenti che registriamo in questa giornata dia impulso a un percorso concreto e efficace di contrasto a tutte le discriminazioni. Arcigay, da questo punto di vista, è pronta a giocare la sua parte». Leggendo questa circolare, tornano alla mente le dichiarazioni del ministro Stefania Giannini la quale nel corso degli ultimi mesi ha più volte respinto indispettita le accuse di promuovere l’educazione gender all’interno delle scuole, arrivando a parlare di “truffa culturale”. Ebbene, il testo appena diffuso dal MIUR, racchiude perfettamente quelle che sono le linee guida per la promozione dell’ideologia gender all’interno delle scuole, utilizzando tutti i “vocaboli totem” e le parole chiave dell’armamentario genderista. L’obiettivo dichiarato è la decostruzione degli stereotipi di genere, al motto di “sei come sei” e la promozione dell‘indifferenza sessuale per la quale ogni studente deve sentirsi libero di costruire la propria soggettiva sessualità,  identificandosi come maschio o femmina, o chissà cos’altro, a seconda del sesso percepito, al di là dell’irrilevante e “datato” sesso naturale e biologico. Questa sì, una vera e imperdonabile truffa culturale, ancora più grave, in quanto perpetrata dall’Istituto preposto all’Istruzione e all’Educazione, emblematicamente esplicitata – come si legge nel testo – dall’affermazione che con “l’educazione si superano i pregiudizi e gli stereotipi ancora presenti nella nostra società”. Un linguaggio volutamente ambiguo e criptico, finalizzato a promuovere subdolamente, all’insaputa delle famiglie, l’ideologia gender nelle scuole italiane.

LE VIOLENZE DEL DEMONE IDEOLOGIA GENDER CONTRO LA SOCIETÀ CIVILE ] [ Scuola condannata per licenziamento “gay” mai avvenuto. Il titolo è di quelli sparati a sei colonne: “Scuola cattolica condannata a risarcire un’insegnante licenziata perché lesbica”. E il circo mediatico ieri non ha fatto altro che rilanciare la notizia come se fosse l’ultima tappa del cammino dei diritti dell’uomo nel nome della non discriminazione. Approda ad una sentenza, che non mancherà di far discutere e soprattutto di sollevare inquietanti interrogativi sulla libertà di educazione degli istituti paritari, la vicenda del presunto licenziamento di una insegnante dell’Istituto Sacro Cuore di Trento a causa di una sua altrettanto presunta inclinazione omosessuale. Anche la Nuova BQ negli anni scorsi aveva raccontato la storia, mettendo tra l’altro in evidenza alcuni dettagli sfuggiti ai giornali mainstream. Ma con la sentenza del giudice del lavoro di Rovereto di ieri possiamo ragionare su uno scatto in avanti della Giustizia che si frappone tra l’autonomia di un istituto privato paritario e le rivendicazioni di un gruppo ben organizzato secondo la consueta tecnica radicale del caso pilota. 25mila euro. Tanto l’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovranno risarcire alla voce danni patrimoniali e non, alla docente. Ma non solo lei è stata beneficiaria della sentenza. Anche la Cgil di Trento e l’associazione radicale Certi diritti riceveranno dall’istituto cattolico 1.500 euro a testa. La decisione del giudice si basa sul fatto che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola», ma anche che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». E siccome la decisione della scuola ha danneggiato non soltanto l’insegnante, ma anche ogni potenziale lavoratore interessato a quella cattedra, ecco che il risarcimento, simbolico, è stato esteso anche al sindacato rosso in rappresentanza di un del tutto ipotetico “lavoratore discriminato ignoto”. Esulta il legale della donna, l’avvocato Alexander Schuster, il quale ribadisce come la decisione del giudice del lavoro fissi un punto di non ritorno: “I datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro”. Messa così, tra interrogatori e scelte intime, la logica porterebbe a pensare che la cosa possa avere un senso e in ultimo una sua giustizia, con la scuola a giocare la parte della Gestapo e la vittima dall’altra parte.
Ma come spesso accade, anche nelle pieghe di questa storia si intravvedono alcuni fili lasciati dai giornali e dal giudice inspiegabilmente su un binario morto. Tutto nasce il 16 luglio 2014 quando la direttrice dell’istituto suor Eugenia Liberatore convoca l’insegnante in scadenza di contratto per discutere del rinnovo. La docente ha riferito di essere stata convocata per parlare di alcune voci sentite sul suo conto. Sempre la docente ha riferito che la religiosa le avrebbe fatto pressioni per smentire o confermare la sua tendenza omosessuale perché “ci sono dei bambini da tutelare”. Da lì si è arrivati al licenziamento. Che però non era tale dato che il contratto era scaduto. Quindi sarebbe stato più corretto parlare di mancato rinnovo, ma per la causa questo può essere ben tradotto in licenziamento. Andò davvero così? Purtroppo non potremo mai saperlo perché la suora nel frattempo è morta e il processo che è approdato sul tavolo del giudice del lavoro ha visto la maestra da un lato e la persona che veniva accusata di discriminazione assente per avvenuto decesso. Ciononostante le dichiarazioni sulle quali si è basata la sentenza sono quelle della docente e non della suora che non ha potuto così difendersi. Tanto più che la religiosa, successivamente intervistata, aveva sempre detto di aver approcciato la donna con rispetto, per chiarire quelle che erano le voci che sentiva sul suo conto. Ma il tentativo di approccio con la donna naufragò di fronte alla sua reazione. Anche perché la vicenda sembrava risolta dopo l’intervento tanto della Provincia quanto del Ministero della pubblica istruzione. La prima avviò un’indagine pochi mesi dopo, che approdò ad un esito negativo. La Provincia, guidata da una giunta di centrosinistra, confermò i finanziamenti all’Istituto perché «non ci sono elementi per mettere in discussione la parità scolastica dell’istituto religioso Sacro Cuore di Trento». Ma anche il Ministero, che aveva minacciato provvedimenti seri nei confronti della scuola se fossero emersi elementi che confermassero quelle accuse, non ha fatto sapere mai nulla in merito. Venne coinvolto persino il ministro Stefania Giannini, poi la cosa finì nel dimenticatoio perché evidentemente a carico della religiosa non emerse nessuna violazione del diritto del lavoro. Dunque né la Provincia né il Ministero si fecero carico della richiesta di reintegro dell’insegnante. Ma nel frattempo l’insegnante aveva portato lo scottante caso davanti al giudice del lavoro e sempre nel frattempo la suora era passata a miglior vita dopo essere stata presa di mira sui giornali come omofoba e annessi moderni vituperi. Ieri la sentenza che tocca un passaggio molto delicato sul quale non sarà difficile per i Radicali, che sanno sfruttare certi casi pilota, porre il tema del controllo delle scuole paritarie. Il giudice infatti ha preso in esame la cosiddetta clausola di salvaguardia prevista nel decreto legislativo 2016/2003 per le cosiddette organizzazioni di tendenza. Si tratta cioè, e qui siamo di fronte ad una scuola di ispirazione religiosa, di una clausola a tutela delle scuole cattoliche o di qualunque altra associazione religiosa secondo la quale, si legge all’articolo 3 comma 5 «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività». Il tribunale però ha sottolineato che “nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”. E pazienza se lo stesso giudice riconosce che “l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto». Però la stessa legge, poco prima, all’articolo 3, comma 3, recita testuale: “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”. Insomma: come giustificare ai fini di questa legge la sentenza di ieri? Tanto più che ancor oggi la vittima è definita dalla stampa “presunta omosessuale”, dunque è impossibile capire se il giudice abbia accertato o no la sua inclinazione, cosa che pure sarebbe decisiva, come pure accadde alla madre superiora durante il colloquio. Ma il principio è passato e adesso ci si potrà “sguazzare” liberamente: non rientra nei compiti educativi di una scuola scegliersi, come una qualunque iniziativa privata, i propri insegnanti come meglio crede. La sentenza ha tutta l’aria di essere eminentemente politica. E non solo per la presenza di un’associazione radicale e della Cgil. Ma anche perché la docente ha puntato su un avvocato specializzato sul tema dei diritti Lgbt. Sul sito dell’università di Trento si può scorrere il curriculum dell’avvocato Alexander Schuster, nel quale figurano numerosi incarichi come ideatore e coordinatore di progetti su orientamento sessuale e identità di genere. Progetti cofinanziati molto spesso dalla Commissione Europa con cifre ingenti che raggiungono anche i 500 e i 600mila euro. Resta la domanda di fondo: sulla base della sentenza di ieri quanto spazio rimane alla libertà d’educazione, per continuare ad essere esercitata nel rispetto delle libertà altrui? Domande alle quali forse un giudice potrebbe rispondere ribaltando la decisione nel caso la scuola, che ha preferito non commentare, scegliesse per il ricorso. In ogni caso: per la vera libertà, di educazione, di impresa e di religione, quella di ieri è stata una giornata nera. (di Andrea Zambrano)

Carpi: genitori costretti a cambiare scuola al figlio per i libretti gender. Non ha pace una piccola famiglia di Carpi, che ha la sola “colpa” di vivere in un mondo completamente rovesciato, scoperchiato dalla mancanza di veri valori, sostituiti dal più assurdo relativismo che avanza sempre più nascondendosi sotto i velami del perbenismo sociale, tirannico e ipocrita per sua natura. La famiglia a cui si accenna è stata recentemente vittima di un subdolo attacco da parte dell’istruzione scolastica, e ora spiego velocemente il perché. Marito e moglie avevano già dovuto in passato cambiare scuola al proprio figlioletto, un bambino di 10 anni, per diversi problemi verificatosi all’interno del vecchio comprensorio. Con la speranza di trovare un ambiente migliore hanno deciso di iscriverlo alla Scuola Primaria “Carlo Collodi” di Carpi, statale ovviamente, ma vicino a casa. La scelta che potremmo definire eroica visti i tempi in cui viviamo, dove l’egemonia del lavoro ha la meglio su qualsiasi cosa, è quella intrapresa dalla madre – ovviamente con il mutuo consenso del marito – la quale ha deciso di rimanere a casa da lavorare per poter assistere meglio le attività del figlio e occuparsi dei lavori domestici. Ma veniamo ora ai fatti che più ci interessano. Stiamo parlando ovviamente di una famiglia cattolica, ben conscia di ciò che accade al di fuori dei recinti delle mura domestiche; cosciente che, volente o nolente, iscrivere un figlio ad una scuola statale comporta enormi rischi, visti i risultati con cui la “cultura” del gender si è rapidamente inserita, ancor più grazie a quell’auto-incensante “legge” cosiddetta “Buona Scuola”. Avvalendosi di tutte le possibilità di tutela possibili, che si riassumono poi nell’invio del consenso informativo con diffida, spedito tramite raccomandata alla scuola ad inizio anno scolastico, la famiglia carpigiana sperava di poter dormire sonni tranquilli, o meglio, forse non tranquilli… Ma perlomeno certa di essere informata sulle porcherie che un sistema d’istruzione malato vuole propinare ai bambini. Tutto bene, a parte i soliti scontri con genitori anestetizzati da ciò che accade intorno, insegnanti che non sono a conoscenza di ciò che veramente sta passando per spiragli ideologici sempre più ampi, o se ne sono a conoscenza se ne stra-fregano. Tutto sommato però sembra che al figlioletto non sia stato proposto niente di quanto impone il globale “gender-diktat” che nelle scuole primarie e negli asili fa ormai da padrone. Proprio negli ultimi giorni però, arriva un’amara ed inaspettata sorpresa: la maestra affida alla classe la lettura di un libro, distribuendo a tutti i bambini il medesimo testo, dal titolo “Ascolta il mio cuore”. Il compito dato per casa è quello di leggere il libretto e capirne i contenuti, senza particolari mansioni. La madre si presta dunque ad una lettura condivisa con il bambino, ignara di quanto stava per passare sotto i suoi occhi. Riportiamo qualche stralcio qui di seguito per dare un’idea di quello che questi due poveri genitori si sono trovati davanti. Si sta qui parlando, nel libro, di “toreri” e il discorso è tra un bambino e una bambina:
“E poi le donne a fare i toreri non ce le vogliono” – aggiungeva Gabriele dispettoso.
“Bè vuol dire che cambierò sesso” – pensava Prisca.
lisa le aveva mostrato, su una rivista medica dello zio Leopoldo, la foto di un camionista svedese che si era fatto fare un’operazione ed era diventato una bellissima ragazza.
“Se fossi maschio potrei anche fare il mozzo su una nave mercantile e andarmene in giro per il mondo” – pensava Prisca.
(…) “Va bé, vuol dire che prima mi sposerò e avrò i miei diciassette bambini, e solo dopo cambierò sesso e farò il torero”. Era un pensiero consolante avere quella doppia possibilità grazie al progresso della scienza.
Si potrebbero citare altri estratti, ma per l’amore di un canonico limite si preferisce tralasciare, buttando per un attimo lo sguardo all’autrice di questa bella operetta gender, fatta entrare senza nessuna riserva nella scuola di Carpi ( e chissà in quante altre ).
Si tratta di Bianca Pitzorno, la famosa scrittrice e saggista italiana che si occupa da tantissimi anni di libri per bambini e ragazzi. Molto conosciuta nell’ambiente LGBT perché lei stessa si è più volte dimostrata ardua combattente per le cause omosessualiste, potremmo addirittura attribuirle il ruolo di pioniera dei primi libretti i gender per bambini, come quello in questione che infatti fu editato nel lontano 1991.
Anche la Nuova Bussola Quotidiana si era occupata in passato di uno dei testi della Pitzorno più precisamente di “Extraterrestre alla pari” dove – per farla breve – si parla di un extraterrestre che per un periodo vive la condizione di entrambi i sessi, rimanendo sconvolto per i pregiudizi che ci sono sulla terra contro questa duplice condizione sessuale. La datata scrittrice ha rilasciato anche interviste al mondo lesbo, prendendosi i plausi di quest’ultime che si vantano di essere cresciute con i suoi libri; anche il sito internet cultura-gay ha molto a cuore la Pitzorno, che, fra le altre cose guarda caso, è pure ambasciatrice all’UNICEF da circa 16 anni. Ebbene questa personaggia viene proposta nelle scuole da circa vent’anni o più, forse sotto il gran silenzio di tante persone che nemmeno si accorgono di ciò che passa loro sottomano, o forse con il mutuo consenso di chi invece vuole che queste cose passino. Proprio questa infatti è stata la risposta che il Preside della scuola Collodi ha dato ai due genitori – fra l’altro indirettamente – dopo che questi hanno inviato una lettera all’attenzione di tutto il personale scolastico, facendo notare prima di tutto gli scandalosi contenuti presenti nel libretto, e poi ribadendo il consenso informativo con diffida che ad inizio hanno avevano fatto avere alla scuola. La richiesta dei genitori è stata semplice semplice: la rimozione del libro dalla biblioteca scolastico, in quanto lesivo e diseducativo per la morale dei bambini.
Ovviamente non c’è stato nessun tipo di risposta immediata, ne da parte di insegnanti, ne tanto meno dal Preside, sicché la famiglia stessa si è rivolta alla coordinatrice di classe per chiedere come fosse stato accolto il loro fervente appello.
Negativamente, è chiaro: la coordinatrice ha fatto da tramite riferendo ai due genitori che “il Preside non ha nessuna intenzione di rimuovere il libro”, che dice essere stato già usato tantissime volte in passato, ma soprattutto non può e non deve essere rimosso per la richiesta di una sola famiglia che ha voglia di lamentarsi. Cosa rimane da fare a questa povera famiglia disperata, se non ritirare il figlio da una scuola che ha tutti gli scopi possibili ed immaginabili fuorché quello fondamentale da cui dovrebbe dipendere, ovvero l’educazione e la formazione di bambini/ragazzi moralmente saldi?
Queste scelte però, comportano conseguenze, danni, dolori e lesioni a bambini che ancora così piccoli sono costretti a dover cambiare – ovviamente per il loro bene – a causa di un mostruoso insegnamento che avanza sempre più fra le mura della scuola pubblica? La superficialità e l’incompetenza del personale scolastico, come in questo caso, meriterebbe un po’ più di attenzione, ma non vogliamo avvelenare ulteriormente il sangue ai lettori.
Per concludere, e riassumere: se a tuo figlio vogliamo insegnare il gender a scuola tu devi tacere. O se anche hai intenzione di parlare devi sapere che non ti ascolterà nessuno, che del tuo consenso informativo con diffida non ce ne frega nulla, e che sei l’unico pazzo fermo alla concezione di maschio e femmina come unica cosa possibile salvo denaturalizzare la società. Davanti a questo scempio, come comportarsi allora?
Credo, e mi permetto di dirlo, che sia giunto il momento di rimboccarsi seriamente le maniche per creare valide alternative, volte a garantire la salute psico-fisica e spirituale dei nostri figli. Nonostante il collettivo e pandemico obnubilamento, bisogna raccogliere le forze di tutti i genitori affranti, ma allo stesso tempo decisi a fare qualcosa. Creare piccoli gruppi di famiglie, confrontarsi, e trovare soluzioni per creare scuole paterne che siano in grado di formare i ragazzi nella maniera corretta, per ben vivere qui sulla terra come oneste e civili persone, per poi diventare un giorno abitanti del Cielo. Quello che continua ripetutamente a succedere e a passare nelle scuole non è più uno scherzo. È un Leviatano sempre più prorompente che sta intessendo tele ovunque, con prospetti davvero agghiaccianti. Continuare a denunciare va bene, ma il non trovare valide e possibili alternative corrisponde a scavarsi una fossa pur sapendo che si può evitare la morte immediata. A noi la scelta.

Si chiama «Jean Moulin» la sezione del Front National, costituitasi recentemente – alla fine del 2015 – presso l’università Sciences Po di Parigi. E già l’intitolazione appare bizzarra per un partito di Destra: Moulin politicamente appartenne alla Sinistra radicale, fu laicista ed ai vertici della resistenza francese. Tant’è vero che la cosa non passò inosservata, anzi provocò vivaci reazioni tanto nell’Fn quanto negli emuli di Moulin, prevedibilmente in schiacciante maggioranza sinistrorsi.
Ma bizzarrie e sconcerto sono aumentati, nell’apprendere del messaggio di sostegno diffuso ieri tramite i social network proprio da questa sezione al Gay Pride Lgbt in corso a Parigi. Una mossa, che ha sollevato un polverone nel Front National, tanto da spingere in breve tempo uno dei vicepresidenti del partito, Louis Aliot, a precisare su Twitter che il Front National non sostiene il Gay Pride, simbolo «di esibizionismo, di comunitarismo militante ed anti-Fn». Dichiarazione subito condivisa da Marion Maréchal-Le Pen ed analoga a quelle espresse da Marie-Christine Arnautu, un’altra vicepresidentessa del partito, e da Gaëtan Dussausaye, leader del movimento giovanile.
Ma la sezione «Jean Moulin» sa di avere più di una sponda interna nell’Fn, soprattutto da quando quest’ultimo ha accolto tra i suoi cinque vicepresidenti anche Florian Philippot, omosessuale dichiarato e leader dell’anima «laica» dell’Fn. E’ inutile, la morale è sempre quella: quando i valori fondanti la cultura di un partito o di un popolo vengono dimenticati, calpestati o traditi, è l’anima a venir meno, rendendo il resto un inutile involucro, privo di senso.

MY HOLY JHWH ] [ ma SE LA LUSSURIA È UN PECCATO CAPITALE SUFFICIENTE A CADERE NELL’ABISSO, MA, CHE SPERANZA HANNO I GAY DI POTERSI SALVARE? BHO! QUESTI SONO FUORI ALLINEAMENTO! Quelle orge gay di seminaristi. E la Tv dei vescovi sdogana gli Lgbt. 9 giugno 2016. Fonte: Lanuovabq.it Il 6 giugno sulla televisione della Conferenza episcopale italiana, durante il programma “Il diario di Papa Francesco”, é successo qualcosa che non ha precedenti. Per la prima volta un’emittente cattolica ufficiale e legata alla gerarchia ecclesiastica, Tv2000, ospitava coloro che già all’inizio di maggio erano stati definiti dal quotidiano della Cei, Avvenire, con l’espressione di «cristiani Lgbt». Un ossimoro non meno grave che se il giornale avesse titolato «cristiani abortisti», indice della grande confusione dottrinale ed esistenziale della Chiesa. Logo_Gruppo_3In studio, tre sedicenti cattolici del gruppo “Ponti Sospesi”, che raccoglie appunto quanti si definiscono “cristiani Lgbt” e che non solo hanno attrazioni verso persone dello stesso sesso, ma convivono con loro convinti che la Chiesa debba arrendersi all’”amore”. Fra gli ospiti anche una suora senza abito e un sacerdote sicuri che «siccome Dio ci ama» approva qualsiasi cosa facciamo. Così, in appena una ventina di minuti, lo sdoganamento di quello che prima veniva respinto, almeno pubblicamente dagli organi ufficiali della Chiesa, è avvenuto citando l’esortazione apostolica “Amoris Letitia” di papa Francesco. Precisamente al punto 250 che parla di «rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita». Volontà che, non si ricorda mai, è inscritta nella natura ordinata dal Creatore stesso, come dice il Catechismo. E che, se tradita, si ritorce contro l’uomo. Ma mentre la televisione dei vescovi parlava dell’omosessualità normalizzandola e nascondendone il dramma esistenziale, in modo affettato e quindi fuorviante, a Roma una voce coraggiosa e importante si è alzata per difendere quello che la Chiesa di Gesù Cristo proclama da 2000 anni attraverso il suo Magistero e le Sacre scritture: la verità sulla pratica omosessuale che è in contrasto con la volontà di Dio (un abominio ai suoi occhi dice san Paolo), innanzitutto perché nuoce alla creatura che la pratica. Colleen Bayer, presidente del “Family Life International” della Nuova Zelanda, ha raccontato durante un incontro di cui circola un video in rete pubblicato sempre il 6 giugno, alcune storie diverse, ma tutte legate all’ideologia gender e all’omosessualità. Bayer ha cominciato ricordando «quello che ci hanno detto su Christoph Schönborn  (il cardinale di Vienna che ha presentato l’esortazione apostolica, ndr)», il quale ha fatto «un errore enorme parlando di “elementi positivi” dell’omosessualità» e spiegando in un’intervista del 2015 alla Civiltà cattolica che «la Chiesa non deve guardare per prima cosa nella camera da letto, ma in sala da pranzo!». Dire questo, ha continuato Bayer, è «spazzatura, spazzatura», perché «un nostro amico prete ha perso la vita per quello che succede in camera da letto: per favore pregate per la sua anima». La donna ha quindi narrato la vicenda di questo giovane anglicano, convertito al cattolicesimo, che entrò in seminario a Roma, nonostante avesse dichiarato ai superiori le sue angosce e fatiche nelle relazioni, che lo portavano ad avere attrazioni compulsive verso gli uomini. Comunque ordinato, venne inviato in Nuova Zelanda, dove cinque anni di ministero non servirono a lenirne la disperazione, sebbene continuasse a dare sfogo alle sue compulsioni. Fu allora che, incontrando Bayer e suo marito, il sacerdote si confidò chiedendo loro aiuto:
«”Oh Colleen”, mi disse, “non sai cosa facevamo a Roma il venerdì sera, ci incontravamo”… e facevano quello che fanno gli omosessuali». In quel momento, ha spiegato l’attivista pro family, «mi svelò i festini romani del venerdì sera con altri seminaristi», che «si concludevano in orge omosessuali». E «mi si spezzò il cuore. Fino ad allora pensavo che noi tutti adoravamo Dio sotto la cupola di Roma, che venire qui era venire a casa. Ma poi, sapere che nei seminari qui…». Il sacerdote gli svelò infatti, «la devastazione, la sporcizia e cose avvenute che sono spaventose». Bayer si é poi chiesta chi ha accettato queste persone nei seminari, spiegando l’angoscia del sacerdote poi morto suicida. E ha concluso: «Come, nel nome di Dio, è avvenuto questo sotto la cupola di Roma?…Come un cardinale di Roma, se è vero che ha detto così, può affermare una cosa del genere?». Successivamente, ha ricordato un’altra vicenda, quella di una ragazza incinta malmenata dalla “fidanzata” abortista, descrivendo la relazione sentimentale fra due donne come violenta e possessiva: «Quando vidi il corpo di Jackie mi pianse il cuore per via dei tagli e dei lividi e i pizzicotti, sapendo che nella sua vita era stata terribilmente violentata e ferita». E non è che questo avvenga indipendentemente dal sesso diverso o identico del partner. O che si debba per forza arrivare alla violenza fisica. luca_di_tolve_-_luca_era_gay_-_povia_4 Infatti, per dire quanto la dottrina di Cristo e della Chiesa che deplora l’omosessualità sia più caritatevole di ogni melassa mondana spacciata per amore di Dio, basta leggere chi, come Luca Di Tolve, in seguito alla conversione e alla psicoterapia ha trovato il compimento che cercava solo con una donna. Nel suo libro, “Ero Gay. A Medjugorje ho trovato me stesso”, Di Tolve scrive il perché della natura disperante di questi rapporti: «Il movente profondo che spinge ad adottare comportamenti omosessuali è sempre il medesimo: quello di assumere le caratteristiche maschili che non riesci a esprimere in te stesso». Mentre solo «due uomini o due donne scoprono nella diversità gli elementi complementari per cui arrivano a essere, creando una famiglia, dono gli uni per gli altri…due uomini e due donne, invece, non riusciranno mai, mettendosi insieme, ad arrivare alla pienezza di sé, perché non troveranno nel partner dello stesso sesso quegli elementi biologici e psicologici costitutivi dell’altro sesso, che li completa… È forse per questo che, nel praticare sesso con altri uomini, non ho trovato pace. Forse per questo ho avuto poi la forza di reagire e intraprendere un cammino di virilità, utile e autorevole nella mia identità». Quella che Cristo e la Chiesa hanno a cuore e per cui bisognerebbe combattere con forza e coraggio ogni menzogna. Invece, pare proprio di assistere a quanto la Madonna predisse nel 1995 a Civitavecchia, con l’ammissione finale dell’allora vescovo della diocesi, monsignor Girolamo Grillo, inizialmente feroce oppositore delle apparizioni: «Figli miei le tenebre di satana stanno oscurando ormai tutto il mondo e stanno oscurando anche la Chiesa di Dio. A Roma le tenebre stanno scendendo sempre di più sulla roccia che mio figlio Gesù vi ha lasciato per edificare, educare e far crescere spiritualmente i suoi figli». Di fronte all’apostasia, Bayer ha spiegato che occorre «essere consapevoli dei tentacoli di satana, cercare le mani di Dio e perseverare», affinché Dio stesso «ci guidi fuori dal fango» attraverso «uomini e donne di Dio», attraverso «l’ortodossia, mettendo al centro la Chiesa e il suo servizio, con un grande senso di urgenza e con pazienza». Mentre, come domandò la Madonna a Civitavecchia, invitando alla fedeltà, alla verità, alla preghiera, all’Eucarestia il popolo, toccherebbe anche ai vescovi: «…il vostro compito è di continuare la crescita della Chiesa di Dio, essendo voi gli eredi di Dio, tornate a essere un cuor solo pieno di vera fede… consacratevi tutti a me, al mio Cuore Immacolato, e io proteggerò la vostra Nazione sotto il mio manto ora pieno di grazie». (di Benedetta Frigerio)

NON POTETE SOSTITUIRE LA LEGGE NATURALE CON IL SATANISMO DI UNA IDEOLOGIA GENDER: QUESTO È OLTRE LA OMOFOBIA, È UN TRAVIAMENTO SOCIALE! VOI VI STATE SCAVANDO L’ABISSO SOTTO I PIEDI.. UNA STORIA DI DISTRUZIONE GIÀ VISTA TROPPE VOLTE! Regnerus: i dati ci dicono che per i bambini è meglio crescere con mamma e papà. “Quanto sono diversi i figli adulti di genitori che hanno relazioni sentimentali con persone dello stesso sesso? I risultati dello studio Le Strutture della Nuova Famiglia”. È questo il titolo di una della ricerche scientifiche più violentemente criticate della comunità lgbt, uscita proprio quando il presidente Barack Obama, prima, e la Corte Suprema, poi, aprivano al diritto al “matrimonio per tutti”. Il suo autore, Mark Regnerus, professore di Sociologia presso l’Università di Austin, vi ha affermato che quanti sono cresciuti con due persone dello stesso sesso sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati rispetto ai loro coetanei cresciuti in famiglie composte da genitori di sesso diverso. Secondo il suo studio, i primi sono tre volte più soggetti alla disoccupazione (solo il 26 per cento ha un lavoro fisso contro il 60 per cento della media), sono quattro volte più soggetti a ricevere assistenza pubblica (il 69 per cento contro il 17 per cento dei casi). E sono molto più inclini ad essere arrestati, a dichiararsi colpevoli di atti criminali, a drogarsi, a pensare al suicidio. Insomma, uno studio dalle conclusioni molto nette che, non a caso, è sempre stato molto contestato dalle associazioni della galassia arcobaleno.
Ospitato da Generazione Famiglia, Regnerus parlerà insieme a Massimo Gandolfini ed Ettore Gotti Tedeschi il 22 giugno prossimo alle 18.30, presso palazzo della Rovere a Roma. Professore, può parlarci delle differenze fra il suo studio e quelli che sostengono l’opposto? Prima della mia ricerca esistevano solo piccoli studi su scala locale, relativi ai bambini ancora in casa. Il mio studio, invece, è stato il primo a prendere come campione la popolazione nazionale di giovani adulti, già usciti di casa, e cresciuti con persone dello stesso sesso. Abbiamo domandato loro quanto il modo in cui sono cresciuti ha influito sulla loro persona. Abbiamo intervistato singolarmente centinaia di persone cresciute con due uomini o due donne e abbiamo comparato la loro situazione con quella di altre persone, sia vissute con un solo genitore, sia con i genitori separati, con i genitori adottivi oppure con una madre e un padre sposati. Ci siamo accorti che il tasso di disoccupazione, di difficoltà psicologiche, di dipendenza dai servizi sociali erano maggiori nei giovani adulti cresciuti con due persone dello stesso sesso. Nella maggioranza dei casi si tratta di madre biologica divorziata e convivente con un’altra donna. Qual era la sua posizione iniziale in merito ai bambini cresciuti con due persone dello stesso sesso?
Quando ho cominciato non avevo un’opinione precisa in merito, ma ho cercato di analizzare il più imparzialmente ed esattamente possibile le varie situazioni per formarmene una. I dati infatti si possono usare anche per piegarli alla propria visione preconcetta, cosa che ho evitato di fare. Se, ad esempio, si prendono i risultati relativi a chi è cresciuto con due uomini e due donne separati e li si unisce a quelli di chi è cresciuto in un’unione stabile di uomo e donna e poi si compara questo campione con quello di chi è cresciuto con due persone dello stesso sesso non ci saranno differenze enormi. Al contrario se, come ho fatto io, si comparano le coppie dello stesso sesso con quelle di una famiglia naturale stabile le differenze sono grandi.
Le reazioni alle conclusioni del suo studio sono state violente. Come è cambiata la sua vita?
Caspita… lo si dovrebbe chiedere a mia moglie. La mia carriera era ormai avviata, stavo per diventare professore associato, ma dopo la pubblicazione dello studio tutto si è bloccato. Non sono più stato invitato ai convegni e agli eventi a cui ero solito partecipare. Devo dire che io stesso, quando mi sono trovato davanti ai risultati, mi sono preso un colpo e ho capito che la mia vita sarebbe cambiata. È stato frustrante e, anche se ora mi sono abituato, non è giusto che questo mi sia accaduto. Purtroppo, però, le persone sono sempre più ossessionate dalla reputazione, motivo per cui l’ambiente accademico delle scienze sociali è più viziato che mai. Lei avrebbe potuto ritrattare. Perché ostinarsi?
Perché è una questione che riguarda l’umanità intera e la sua salvaguardia. Raccogliere e leggere i dati il più correttamente possibile è poi lo scopo del mio lavoro. Soprattutto, stare di fronte alla sofferenza dei bambini cresciuti con due persone dello stesso sesso e alla serenità di quelli che sono diventati grandi nell’amore stabile di mamma e papà, mi ha impedito di tacere. Ciò non significa che un bambino educato da una madre e un padre non avrà mai problemi, ma questa è l’unica condizione ideale per poterlo crescere sereno. Ogni altro stato implica comunque delle ferite e delle difficoltà, per quanto si possano superare. Alla fine anche l’università per cui lavora si è dovuta arrendere al fatto che la sua ricerca era stata condotta correttamente. Per questo hanno difeso il mio diritto di parlare. Nel 2012 aprirono un’inchiesta e alla fine fui dichiarato innocente. Ma nell’ottobre 2014, in seguito alle continue proteste, l’università ha deciso di riaprire le indagini. Sono risultato ancora innocente, ma, ancora una volta, l’unica cosa che hanno fatto è stata quella di difendere il mio diritto di espressione. Sui contenuti della mia ricerca, invece, non hanno mai preso posizione. Come tutti, anche le accademie hanno il problema di piacere al mondo e quindi di non opporsi a chi ha potere.
Qualcuno che l’ha difesa? Tanti colleghi mi hanno difeso privatamente, pochi lo hanno fatto in pubblico. Però, dopo la mia ricerca, ne sono uscite altre tre a confermarla. Su queste non si sono scatenate le stesse ire solo perché la mia era la prima e, inoltre, aveva tutti dati originali. Gli altri studi successivi si basano su dati raccolti da altri e, quando è così, è più facile difendersi.
Perché tanta avversione? La cultura transgender ha un grande potere economico e quindi di boicottaggio e ha investito molto nel campo delle scienze sociali. Assistiamo a sforzi congiunti e coordinati che hanno invaso le accademie di tutto l’Occidente. Ma sopratutto in America hanno sradicato l’idea di un bene comune, per cui esiste solo il diritto del singolo ad avere tutto, che poi alla fine è il diritto del più forte che riesce a imporsi a discapito degli altri. Il movimento lgbt, contrario al matrimonio, mira proprio all’atomizzazione dell’individuo, sciolto da qualsiasi vincolo e limite. Inoltre gli Stati Uniti sono fortemente empiristi: se una cosa esiste, solo per il fatto che c’è, va accettata e guai a chi si domanda se sia giusta o sbagliata. È severamente vietato chiedersi quale tipo di società vogliamo e chi solo mette in discussione quella che c’è è considerato un violento.
Cosa è successo con la pubblicazione dello studio?
Alcune delle stesse persone che ho intervistato hanno preso coraggio e hanno cominciato a parlare. Anche se penso che la maggioranza non riuscirà a farlo pubblicamente, perché è difficile criticare chi, comunque, ti ha cresciuto. Inoltre, molti di coloro che hanno vissuto con due donne e due uomini hanno alle spalle anche dei divorzi o passaggi da una casa all’altra. Difficile separare i piani della devastazione e imputarla solo a un genitore. In ogni caso, quello che è certo, a partire dai dati, è che ai figli serve la stabilità di un uomo e una donna.
Quali sono le sue speranze? Negli anni Settanta chi criticava il divorzio veniva emarginato, anche se non esistevano i mezzi diffamatori di oggi, ma poi una volta passata la legge le cose sono cambiate. Così è per le unioni fra persone dello stesso sesso: quando ogni norma sarà ormai tarata forse la verità potrà essere meno ostacolata. Anche se credo che la campagna denigratoria continuerà finché la morale non sarà sconvolta. E finché le persone come me non saranno messe a tacere. Di cosa parlerà al pubblico romano?
Proverò a spiegare quello che sta accadendo negli Stati Uniti e che è travisato dai media. Spiegherò i contenuti del mio studio e il suo sviluppo e perché l’unica garanzia per i bambini è il matrimonio indissolubile fra uomo e donna. Farò capire come mai il vero problema, ancor prima delle coppie dello stesso sesso, è la mentalità comune avversa ad ammettere che la famiglia naturale è l’unica condizione ideale e che il divorzio è sempre un danno. Si preferisce, infatti, pensare comodamente che ogni scelta sia lecita e senza conseguenze sui nostri figli. Ecco, il vero problema è qui: finché questo tabù non cadrà, sarà sempre difficile opporsi alle unioni fra due uomini o due donne. (di Benedetta Frigerio)

Chi promuove la teoria del gender TEOSOFIA SATANICA? Dopo Pechino 1995 una governance mondiale ha promosso la parità dei sessi come una delle priorità trasversali della cooperazione internazionale. Un ruolo decisivo in tale rivoluzione culturale è giocato dalle potenti ONG internazionali come Amnesty International, Planned Parenthood, Women’s Environment and Development Organization, Greenpeace ed altri. Questi attori non statali esercitano un’influenza maggiore di quella dei governi nella costruzione del consenso attorno al nuovo paradigma etico. Essi si sono infiltrate nei maggiori centri di potere internazionali cosicché oggi l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo, l’UNESCO, l’UNICEF, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono tutte schierate in prima linea nella promozione del gender diktat. I programmi di azione di tali organizzazioni sono addolciti da termini a prima vista condivisibili e politically correct, di modo che la rivoluzione possa avanzare, subdolamente, in maniera silenziosa.

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